venerdì 14 novembre 2025

Sarajevo, Sarajevo

Delle primissime ore qui dovrei portarmi dietro la luce sul legno della fontana Sebilj (bevi la sua acqua, tornerai a Sarajevo), gli artigiani che battono il rame a bascarsija, le rose di Sarajevo che venivo a cercare (buchi di granate riempite di vernice rossa perche’ l’unico modo per andare avanti è non cancellare), la preghiera alla moschea di Gazi Husrev Begova coi suoi infiniti gatti. E ci sarà tutto e tutto porterò.

Ma più di tutto oggi ci saranno:
-il signore che nel piccolo panificio di fronte a casa ci offre il burek con patate quando capisce che la signora al banco non può accettare euro ne’ carta (lui non sente ragioni, dobbiamo provare il burek, lo offre lui. E ci commuove)
-Adair che abbiamo conosciuto solo oggi e pare un amico di sempre e ci racconta di suo padre e di suo nonno che hanno fatto la guerra (e domani sarà una giornata su questo, ragione prima e ultima dell’essere qui)
-la azdora bosniaca nella cucina di Zara is Duvara, dove l’ingrediente principe di tutto sono le ortiche: selvatiche e potenti e ruvide come tutto quello che fa star bene anche se all’apparenza non lo diresti di certo
-Riccardo che si ferma al market e fa scorte di pappa per gatti, perché qui i gatti di strada sono di tutti e tutti danno loro cibo e crocchette (figurarsi lui! Ora vuol diventare il loro eroe e rilancia con stick golosi conservati a manciate nelle tasche).
Sarajevo, le sue colline, la sua gente.
Tutto quello che stavo leggendo e studiando e guardando. Ma molto più intenso, luminoso e possente e raccolto di quanto mai potessi immaginare.
Post scriptum: l’acqua della fontana, appena arrivati qui, l’abbiamo bevuta.



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