domenica 18 agosto 2024

Le Svalbard e il nord, o della gioia dell'essere smentita


Essere smentita. Mi ci è voluto qualche giorno in più (mentre girandolavo dentro le millanta esposizioni di Arles) per capire come mai il viaggio a Nord di quest’anno, e soprattutto il viaggio alle Svalbard, mi avesse colpita in modo così forte. E penso che infine sia stato perché lassù, come quasi sempre mi accade quando poi mi sento davvero in pace, sono stata smentita.



Al nord cercavo la cultura antica dei Sami, e invece ne ho trovata una contemporanea che mi riguarda molto di più, che parla di temi ambientali in modo diverso del nostro e che fa sì che le nuove generazioni tornino oggi a studiare e parlare l’antica lingua degli avi mentre i genitori la hanno dimenticata. In quel buco di dimenticanza è nata linfa nuova e senza quel buco alla Odradeck, credo, si sarebbe rimasti impigliati in un passato prigione invece che abitare un passato ripensato, riconquistato, rielaborato.



Le Lofoten dei pescatori sono, ancor oggi, le Lofoten dei pescatori. Possiamo viverne le vie come su un trail alla ricerca di bellezza (che ha pochi paragoni con quel che ho visto di mondo) ma queste isole restano dei merluzzi e degli uomini e le donne del merluzzo. E ce lo dicono in ogni modo.
Le Svalbard le immaginavo come una linea diritta, e invece sono fatte di curve infinite, di vite di minatori e paesi in pace e in guerra, di scienziati e studiosi piccoli e grandi (perché anche chi ti accompagna qui e lì di quassù studia tutto e te lo racconta), di felicità che non ti saresti aspettato, di battaglie atipiche rispetto a quelle che conosciamo qui al sud, di limiti che non si possono superare (c’è l’orso, c’è il freddo, c’è il ghiaccio). Alle Svalbard da umano non decidi quasi niente, ritorni piccolo come quel puntino sperduto su google maps e questo fatto mi è parso rimettere in ordine ogni cosa e mi ha fatto sentire a casa.
Se dovessi sintetizzare, come dice la mia amica Laura trovando come sempre parole semplici e perfette, quando ti metti, finalmente zitto, ad ascoltare “tutto si tiene”. E questo basta.




sabato 17 agosto 2024

Arles: une histoire d'amour

Dalla manciata di giorni di agosto ad Arles ci portiamo via:

-la bellezza delle librerie indipendenti che propongono un catalogo e una selezione come non ne vedevamo da un po’



-i trucchetti per rianimare i sacchettini di lavanda quando sembrano non profumare più (strofinarli un po’ tra le dita, sbatterli forte come panni da stendere e voila’)

-un femminismo di frontiera che scopre, riscopre, elabora in modo strutturato e di sostanza in forme e luoghi in cui mi rivedo forse più che a casa mia (chissà che l’eco di Simone continui a farsi sentire)

-la “Griffe” di Germaine Richier che al Musée Reattu si inchina al Cristo crocifisso medievale, ma poi distoglie lo sguardo



-il fatto che il sentiero Tolosiano che passa di qui è tra quelli che conduce sulla via per Santiago de Compostela

-il Luma, che è un incanto dove tornare e tornare e ancora tornare, e pure la Fondazione Van Gogh che, nonostante i dubbi che avevo, ha scelto una via del tutto atipica in cui il nome di Vincent diventa viatico per connessioni e conoscenze nuove (e quella sua unica opera protagonista giunta da Orsay, per una volta, la guardi con occhi più genuini e meno ubriachi)




-Saint-Trophime e il suo romanico dal gusto provenzale

-l’omino in pietra che osserva l’orizzonte all’angolo tra rue Senebier e Quai de la Roquette (di cui ancora non so nulla, ma pian piano qualcosa verrà pur fuori)



-i Rencontres che hanno invaso ogni spazio e fanno a tal punto da polo magnetico che in giro per la città, quando si vede una mappa arancione tra le dita altrui, ci si guarda e ci si riconosce




-il ristorante Galoubet (che in provenzale indica un tipo di piffero) di Frank e Céline Arribart, realizzato in un edificio del XVIII secolo, a due passi da dove dormiamo. Dopo un po’ di anni a Saigon, gli Arribart son tornarti in Francia e hanno aperto un bistrot con poche squisite pietanze che è diventato uno spazio epicureo dove bazzicano gli artisti e i curatori di Rencontres, editor della Actes di sud (casa editrice e libreria del cuore), restauratori, traduttori e curatori museali. Ma soprattutto: qui anche l’uovo apparentemente più semplice si fa delizia.



venerdì 16 agosto 2024

Mary Ellen Mark e Ward 81 a Rencontres d'Arles

Nell’antico ospedale di Arles, quello che ospito’ Van Gogh dopo l’orecchio e che col tempo è diventato lui stesso il ritratto dei dipinti in cui Vincent lo mostrò durante la degenza. Qui Rencontres d'Arles ha allestito anche la seconda parte dell’omaggio a Mary Ellen Mark e al suo lavoro sul reparto 81 dell’ospedale psichiatrico dello stato dell’Oregon, a Salem. Era il 1976. In Italia, grazie allo scatto di Mauro Vallinotto per l’Espresso, da poco avevamo visto le immagini di Villa Azzurra, manicomio per bambini. Di lì a due anni sarebbe arrivata la legge Basaglia, all’epoca la più avanzata del mondo. Mary Ellen Mark considerò sempre Ward 81 uno dei suoi lavori più importanti (e la mia eroina femminista Gloria Steinem, che pure vedete qui ritratta da Mary, non sarebbe stata più d’accordo).






Rencontres d'Arles: Sophie Calle, Fukishima, Stephen Dock, la regina Mary Ellen Mark

 Frammenti di Rencontres d'Arles:

-les Aveugles di Sophie Calle che un’inondazione del suo studio d’artista ha rovinato per sempre e contaminato di spore. Ma lei non riesce a mandarle al macero e decide di portare i suoi ciechi qui, nel criptoportico di Arles, dove sempre le opere vengono devastate dall’umidità. A Rencontres, Calle celebra la loro cerimonia funebre



-le sorelle Brown che si muovono nel tempo, sempre diverse e sempre loro (e io so di averle già incontrate ma non ricordo esattamene il museo, penso però fosse il Moma)


-Fukushima che tutto colpisce e reinventa, dalle relazioni umane agli oni delle foreste giapponesi




-Stephen Dock che mi ha fatta innamorare e che racconta vite di Irlanda del Nord, memorie polacche, drammi di Germania, razzismi americani, devastazioni siriane: il suo obiettivo è posizionato esattamente nel punto più preciso e meno scontato che, in quella situazione, potresti immaginare




-the queen indiscussa: Mary Ellen Mark che rende centrale il marginale e marginalissimo ciò che sembrava cruciale. Solo una cosa conta: essere capita, arrivare la’ dove si è prefissata di arrivare. E portarci chi guarda




-oggi finalmente è piovuto: sia lode all’acqua, alla luce tra le nuvole, al boccheggiare che, per qualche ora, si fa meno affannoso



giovedì 15 agosto 2024

Il Luma di Arles

Fenomenale Luma con torre di Gehry. Undici anni fa questa meraviglia ancora non c’era e oggi ci ha avviluppati tra temperature texane fuori (e Judy Chicago ci stava una meraviglia) e polarità da far indossare l’impermeabile dentro (per Kentridge e Metzger, che ci hanno ammaliati). Che poi creare un parco urbano dove cactus, piante perenni e aromatiche son protagoniste e’ di una bellitudine profumata rara.







Rencontres d'Arles: Ishiuchi Miyako, Cristina De Middel, il rito della Petanque, i fiumi di Floc’h, il corpo di Katayama Mari, la signora con le mimose di Vasantha Yogananthan

Tre le cose notevoli delle prime esplorazioni di questa festa del guardare che è Rencontres d’Arles:

-la poesia degli oggetti raccontata dalla femminista Ishiuchi Miyako, classe 1947, che ritrae la vita della madre attraverso i suoi abiti, i colori di Frida Kahlo attraverso i suoi busti, l’assenza delle vittime di Hiroshima attraverso i loro vestiti



-la protesta di Cristina De Middel che percorre la via per la frontiera coi migranti messicani e li fa tornare umani (perché ormai li vediamo solo come vittime e non diamo loro l’occasione di avere un’altra identità). Della fotografia (bellissima) che fa da manifesto ad Arles 2024, Cristina racconta che la macchina fotografica si era inceppata ma poi, quando l’anziano fratello della donna in acqua le disse “riprova ora”, la macchina riprese a funzionare e le fu dato modo di raccontare




-il rito della petanque visto da Hans Silvester (monsieur Chince non par vero tale è la sua bellezza mentre gioca)




-lo studio dei fiumi e dei colori degli abissi (Mississippi e affluenti in primis) di Nicolas Floc’h




-Katayama Mari che trasforma il suo corpo mutilato nel suo stesso linguaggio espressivo





-la signora che coglie mimose seguita dalla macchina discreta di Vasantha Yogananthan che destreggiandosi con la luce rende onirici i gesti e poetici i materiali più ordinari



-bonus track: il cous cous marocchino sul Rodano e i platani giganti

mercoledì 14 agosto 2024

Rencontres d'Arles: l'opera "vegetale" di Marine Lanier

Il Jardin du Lautaret si trova a duemila metri di altitudine di fronte al ghiacciaio della Meije. Conserva varietà di piante di continenti diversi, da quelle delle montagne rocciose a quelle artiche passando per il Giappone, la Patagonia e l’Himalaya. Il lavoro di Marine Lanier al Jardin d'Eté di Arles, che ha seguito lassù botanici e ricercatori, si orienta nella direzione di quanto l’immaginazione può fare a contatto con queste miniere di piante, soprattutto quando entra in collisione con storie come quelle di Annibale che le Alpi le attraverso’ e vide verdi diversi da quelli che noi vediamo oggi. E insomma serie del Jardin di Hannibal di Lanier è la mostra che oggi mi riporta dall’artico (che ancora devo molto elaborare) al continente infuocato di un caldo anomalo e tremendo da digerire. Ma pure ai Rencontres d'Arles, amore del cuore e felicità dello spirito (e del palato).