lunedì 31 maggio 2010

Trois Coleur


BLEU, liberté
Quando l’auto di Julie si schianta contro un albero la sua storia finisce e ne inizia una nuova. Senza marito, senza figlia, senza passato: meglio riniziare da zero che accettare la perdita, meglio essere libera da loro in ogni cellula, cancellare il passato, diventare una nuova. Questo tuo corpo sopravvissuto senza ragione, Julie, non merita più nulla e allora il tuo pugno grattuggiato contro un muro ti fa sentire quel dolore di cui hai bisogno come Corazzini e come me, un dolore bruciante ma vivo, che faccia male, che faccia il più male possibile: dev’essere forte per ovattare le voci che senti, le voci che ti gridano da dentro. Da qualche parte la tua bimba sta piangendo, Julie? Riesci a sentirla? Fa’ che resti solo un pendente blu, come la luce sul tuo viso, una sorta di lampadario magico, o forse la tua lampada di Aladino capace di riportarti alla donna che eri. C’è un uomo lì fuori che continua a cercarti, ad amarti, a sognare di te, a scrivere musica che parla di te. E’ lui che ti ha stretta quando ti sentivi un cadavere in putrefazione, ma un cadavere vivo, che fa più orrore dei morti, che fa più pietà: mi ricorda quello di una vecchia che tenta con tutta la sua dignità di gettare un bottiglia nel contenitore del vetro; la sua schiena è tanto piegata dal mondo che il suo braccio non arriva lassù, non arriva… Ci penserà quello di Valentine, ma in un altro film, in un’altra storia. Quando a un certo punto decidi che la musica di lui non deve morire, che è il figlio che ti ha lasciato come a quell’altra che ora lo ha in grembo, allora e allora soltanto accetti pure tu di essere salvata. Per la musica, per l’arte, perché così è, dalla notte dei tempi. Nel dolore sopravviviamo ai nostri lutti e ci vorremmo morti e ci odiamo per questo restare a galla che è l’umanità. Solo una manciata di persone tra mille, come per un naufragio sulla manica.

BLANC, egalité
Uguali nel bene e nel male. Uguali pure nella menzogna e nell’inganno. Karol: bisogna rendere pan per focaccia. In fondo nei grandi amori la passione non si misura in sofferenza? Eppure che meraviglia quest’uomo che non riesce a soddisfare sua moglie, che la ama comunque nonostante la sua crudeltà felina, nonostante l’umiliazione cocente: chiami al momento giusto, Karol, ascolta. E’ l’orgasmo della moglie dall’altra parte del filo. Questo telefono ci nasconde e ci rivela nei trois couleurs: una medaglietta perduta nel primo, un affannoso inseguimento del piacere ora e un giudice spione nell’ultimo. Intanto un’altra vicenda: l’amico che ti ha portato in Polonia, Karol, vuole essere ammazzato: tu accetti e fai di più, questa vita di merda che lui sta gettando sotto una metro gliela rendi pulita, innevata, stravolta. Per finta si può morire una volta soltanto. Domanda sul bianco: come si può continuare ad amare gli stronzi, chi, come Domenique, ci fa tanto soffrire? Nella mia testa risponde De André col suo “uomo onesto e buono che si innamorò perdutamente di una che non lo amava niente” . E qui risponde Kiéslowski con una scena finale muta e sognante: quando esco di qui io e te, amore, ci sposiamo di nuovo. In fondo pure Domenique può essere umana: lo diventa di fronte alla sofferenza, di fronte alla morte (fasulla, ma che cambia?) e all’umiliazione. Fuori dalla prigione Karol la spia con un binocolo. E piange.

ROUGE, fraternité
I fili tornano infine a intrecciarsi come per un arazzo ben definito. Valentine salva un cane, Rita, che ha investito per errore e per errore scopre che il suo proprietario è un ex giudice che controlla le telefonate dei vicini. Ognuno ha un suo più o meno terribile segreto: ricordi, Conchita? Il nostro sacco di liuta ce lo portiamo appresso pure in città. Così: qui pro quo. Sacco per sacco, perché la calamita Rita ha voluto così. E chi è Rita in fondo se non la natura, il caso, la fatalità? Quel tutto informe e tuttavia incancellabile che domina e accompagna le nostre giornate? Sputar fuori il rospo diventa allora un imperativo categorico, l’unico modo per andare avanti. Ed è così che avviene la catarsi: basta fidanzati asfissianti e bugiardi, basta sfilate, basta fotografie artefatte e esercizi sfiancanti! La vita vera resta altrove. “Come posso aiutarvi?- Devi esistere- Cosa intendete?- Esistere, esistere e basta”. Questo rincorrere un telefono che squilla e una chiamata che arriva sempre nel momento inopportuno (o che non arriva proprio) fa da colonna sonora a tutto il film. E come fratelli i vari protagonisti si rincontrano tutti su una navetta da salvataggio perché la Manica ha inghiottito tutto il resto. E allora ecco Julie e Olivier; ed ecco Karol e Domenique; e infine Valentine e il giovane tradito dalla bella bionda: il giudice da giovane, senza dubbio. Il passato che torna e si aggancia al presente. La realtà che supera ogni arte, l’ultimo fotogramma in cui Valentine è la fotografia gigante appesa ad un palazzone.
Degli occhi impressionanti quelli di Kiéslwoski. Mi ricordano chi non vorrei come il suo viso e le sue sigarette. Ma Julie non mi ha forse insegnato qualcosa? Julie e Karol e Valentine: non siamo tutti insieme sopravvissuti NOI sette? Il settimo era il barista del traghetto, un esterno, cioè, uno spettatore. Io?

mercoledì 5 maggio 2010

PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO… E ANCORA PRIMAVERA

Questo nuovo post, dopo lungo silenzio, è dedicato ad Alessandra Piccoli e alla sua Alchimia d'Arte.

PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO….
E ANCORA PRIMAVERA

Di Kim Ki-duk

Il male che fai agli altri può colpire anche te: se leghi un sasso a un pesce, a una rana, a un serpente, forse un mattino ti sveglierai con una pietra sulla schiena. La natura funziona davvero come un cerchio. Ed è necessario imparare che nulla ti appartiene per sempre, nemmeno i sentimenti e le parole di quelli che ti amano, e sei costretto ad accettarlo se non vuoi trovarti con un coltello tra le mani e un sasso sul petto ( e nessun maestro potrà mai aiutarti a lasciarlo cadere alle tue spalle). Le stagioni tornano, torna lo stesso bambino dell’inizio del film, con i medesimi divertimenti e lo stesso sorriso. La differenza è che quella donna nell’acqua gelida, la donna che ti lascia suo figlio, diviene per te la donna che hai ucciso, senza volto, con il suo volto. In qualche modo anche lei è riuscita a tornare. Pare che la visione ciclica del tempo sia concezione tipicamente occidentale (Settis), eppure il film e la cultura d’oriente dimostrano che il culto dell’eterno ritorno è davvero patrimonio comune. Ciononostante ogni vita fa da sé; nulla di ciò che si impara, nulla di ciò che si conosce o si ama è definitivo. Non lo è per noi, figurarsi per gli altri! Si ricomincia, da capo ogni volta e si fallisce in certi casi e ci si dà fuoco in mezzo a un lago, con la bocca e gli occhi coperti. E’ difficile diventare maestri. E’ impossibile diventare maestri. L’ultima scalata e poi il Buddha vi guarda dall’alto, vi implora, vi sprona. La tua pietra per il tuo assassinio l’hai portata lassù e la porti però sempre con te…
Ricordi la sepoltura del pesce?
Ricordi come piangesti ritrovando il serpente in una pozza di sangue?
E intanto la primavera torna e poi l’estate, l’autunno, l’inverno
… ed è ancora primavera.