mercoledì 30 settembre 2009

Nonno profeta

Mio nonno è un profeta.
L’ho scoperto un pomeriggio di maggio guardando un film dal titolo poco pretenzioso alla tv: “Bibbia”. Ora, mi sono detto, non credo sia possibile rappresentare la Bibbia in due ore, anche se abbondanti. Comunque.
A un certo punto ecco Noè seduto nell’arca tra un tucano e un orso bianco (un orso bianco in Palestina? Ma insomma, la poesia è poesia, no?). La lunga barba, lo sguardo intenso di John Hudson, l’abito a sacco che si piega così bene sulle ginocchia. E all’improvviso mi sono tornati in mente tutti i profeti rappresentati nelle chiese o scolpiti nel marmo: Isaia, Geremia, Giona, Abacuch (Abacuch era lo zuccone di Donatello, se non ricordo male).
Insomma a guardare Noè mi è tornato in mente mio nonno.
Mio nonno costruì un giardino in cortile nell’anno della mia nascita.
Sì, sì. Cominciò picconando il quadrato di cemento tra i tre palazzoni popolari, comprò chili e chili di terra, pacchetti di semi, piante già grandicelle. Recuperò dei grossi massi da alcune cave di marmo -lui che il marmo lo levigava da sempre e lo conosceva venatura per venatura. Nel lavoro coinvolse tutti quanti: i miei zii ragazzini, mio padre (poco più di vent’anni), gli amici, gli altri condomini. Tutti erano mobilitati. Mia madre se ne stava sul balcone a guardarli così indaffarati, lei col suo pancione sempre più gonfio che cresceva e cresceva mentre anche il giardino veniva su pian piano.
Ma il clou doveva ancora arrivare. Quando ci furono i primi alberelli, i primi fiori, la cavernetta con la madonna e il suo lumino, mio nonno (il profeta) si fermò un minuto. E si mise a guardare. Bhè, quando mio nonno si fermava a guardare nessuno poteva distrarlo, nessuno aveva nemmeno il coraggio di rivolgergli la parola. Sarebbe stato come distrarre Noè mentre preparava l’arca, no? Eppure qualcuno passò in quel momento. E gli parlò. “Benito è molto bello. Ma ci vorrebbe una vasca per i pesci”.
Il giorno dopo iniziarono i lavori idraulici per la piscina.
Poi a turno ognuno rubò un paio di pesci dalle vasche comunali ed ecco uno specchio d’acqua in mezzo ai tre palazzoni. Al centro, trionfante, un bel Tritone in pietra con tanto di fiocina nella mano sinistra. Il giardino era praticamente ultimato.


Mio nonno non aveva studiato, se non alle elementari. E però gli piaceva il bello e sapeva con forza cosa era bello e cosa no. Semplicemente il bello era quello che a guardarlo faceva star bene. Non a caso il suo eroe era Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili. Credo lo conoscesse attraverso lo sceneggiato in tv. Mi raccontava sempre di come, in una scena fondamentale, un prete spiegasse a Jean che a volte il bello è più utile dell’utile: è indispensabile. Per lui anche il viaggio di Ulisse era un viaggio verso il bello, verso l’avventura, verso la ricerca di sé. Anche Ulisse, mio nonno l’aveva conosciuto in tv. Ma di lui sapeva tutto. Proprio tutto. Molto più della mia prof. del ginnasio. Mio nonno, Ulisse l’aveva proprio capito. Ce l’aveva nel sangue. Mai dimenticherò quando recitava chiudendo gli occhi “Nessunooo, perché mi hai fatto questo? Nessunooo!”. Il miglior ciclope che io abbia mai visto.
Sì. Mio nonno aveva i suoi eroi. Eroi molto genuini, molto veri; belli, semplicemente. Come Barabba. Povero Barabba a confrontarsi col figlio di Dio! Povero Barabba con quel peso grosso sulle spalle!
C’era anche un’altra storia. Quella di Mesciangelo. Questa, a onor del vero, non la conosco molto bene. Credo si trattasse di un’anima tornata dall’aldilà. “Sono l’anima di Mesciangelo…”. Questa la recitava in montagna nelle notti in cui i temporali facevano rimbalzare il loro eco sulle pareti.
Mio nonno raccontava storie. Anche per questo era un profeta.
Mio nonno è morto da un po’. Non mi va di andare sulla sua tomba a parlargli. Io gli parlo da qui.
La sua foto è appesa sul mio letto. Una nostra foto anzi. Io e lui assieme in montagna. Io, il suo primo nipote, e lui: entrambi in viaggio come Ulisse, un po’ infedeli come Barabba, un po’ miserabili come Jean Valjean. E’ morto in un modo che ricordo come molto dolce. E’ morto silenziosamente, con dignità, con quel tanto di morfina necessaria a non farlo impazzire del tutto dal dolore.
Eppure vive sempre lì. Vive in quel giardino, nell’arco di edera che copre l’ingresso “inutile, ma così bello”. Nei pesci, nelle pietre rubate, nelle venature del marmo.
Il mio profeta.

martedì 29 settembre 2009



Eccoci in uno dei magici Community Garden di Manhattan. Io ne ho visitati un po', guida NFT (not for tourists) alla mano.

lunedì 28 settembre 2009

JENNY WIEGMANN MUCCHI. Prima Puntata

Jenny è un’artista che colpisce tutti. Scultrice eccellente, tedesca per nascita e formazione, Jenny conosce l’Italia nel 1924. Arriva nella penisola assieme al primo marito Berthold Müller-Oerlinghausen, anche lui scultore, ma di minor vigore, di minor inventiva. Dell’Italia la giovane, che non ha nemmeno trent’anni, ama davvero tutto: adora il calore della gente, ammira -da scalatrice in erba- le montagne innevate e le dolci colline. Ma ancora di più resta colpita e affiscinata dalle ricchezze nascoste delle chiese, dalle rovine all’aria aperta di Roma, dalle sculture classiche, dai mosaici di sapore bizantino. Jenny, che ha studiato in Accademia, cerca adesso nuove vie espressive.
E’ in questo frangente che conosce Gabriele, in un affollato ristorantino romano di via Frattini: non trovando tavoli liberi, infatti, Mucchi domanda a una coppia di tedeschi di potersi sedere accanto a loro. I tre cominciano così a raccontarsi di fronte a un bel piatto di capellini al brodo. Il giovane ingegnere ha sbagliato pensando di trovarsi di fronte a due fratelli. E’ vero: più che intimi i Müller appaiono colleghi, amici, compagni di lavoro. Ma sono anche due sposi, artisti per giunta, arrivati in Italia per la mostra missionaria che il Vaticano ha voluto di allestire per quell’anno Santo. La statua che stanno realizzando -un mastodontico Gregorio Magno che Gabriele potrà poi vedere- mostra con forza l’influenza che quei modelli paleocristiani di cui Roma è ricca hanno esercitato sui due tedeschi e sulla giovane donna in particolare.
Siamo qui agli esordi di un carriera artistica brillante e di una storia d’amore rocambolesca e imprevedibile. Jenny rientra dapprima a Berlino, viaggia attraverso la Spagna e la Francia meridionale, attraversa crisi depressive e momenti di assoluta creatività. In una fase particolarmente difficile della sua vita, la giovane assume una grossa dose di sonniferi; la salva, in extremis, il compagno tedesco. Dalle sue mani, intanto, nascono opere importanti: i rilievi e il crocifisso per la Cappella del Sudario a Moglia, molte Madonne con bambino, diverse maternità. Jenny, che mai avrà dei figli suoi, mostra qui un’attenzione alla donna, al suo corpo, alla sua nudità che pochi altri hanno in questi anni.
to be continued...

domenica 27 settembre 2009

E' ancora dato?


E' ancora dato?

E' ancora dato di scrivere
versi?

Come tenere la penna,
come inclinare il pennello?
...
dopo tutto questo?
mentre tutto
è questo?

E' ancora dato
il respiro?
il sonno?
i corpi?
Sopravvissuti
a tanti sommersi?

Non ammazzo
con queste parole?
Non sono
ignobile anch'io
e zozza
e assassina?

Non puzzo di feci
e di morte
se scrivo
mentre la gente s'accascia
mentre risuona un machete

mentre
ovunque
la vita
si spegne
e rapprende?

Non sono colpevole
anch'io?
io sicura
calda
piena
io
stanca
arrabbiata
svogliata?
io viva?

Non distruggo
con questo mio canto?

Questo canto che odio
e con cui sopravvivo
questo canto liana
in una foresta già nuda
questo canto sirena
questo canto di spine?