domenica 14 marzo 2010

Tutto su mia Madre di Pedro Almodovar

“- Noi donne siamo più tolleranti
- No! Noi donne siamo più coglione”

Hanno ragione un po’ tutte e due.
Se lo vivo direttamente sulla mia pelle, questo film mi provoca una specie di prurito, un déjà vu sofferente: ho voglia di urlare assieme alla madre di Esteban:

Figlio mio, NO! Figlio mio!

Perché a volte davvero gli esseri umani sono come Lola, una pestilenza, devastano tutto al loro passaggio e noi altri, noi altre, li lasciamo fare, un po’ per inesperienza, un po’ per restare fedeli a noi stesse, per non diventare a nostra volta delle pestilenze. Rosa è così atipica, pulita, inconsapevole.. Ecco Lola le fa un grande regalo, ma poi le porta via tutto, senza pietà e senza coraggio. Ma siamo ugualmente responsabili di quel male di cui non siamo consapevoli? Siamo condannabili se abbiamo agito senza guardarci alle spalle?
Ci sono una sofferenza e una forza indicibili in questo film che è un viaggio continuo: Madrid -Barcellona, Barcellona - Madrid e poi ancora Barcellona. Per far sapere, innanzitutto, e poi per salvare e per rinascere. Questi bambini che gli uomini ci lasciano in grembo, l’unica cosa certa di loro, questi figli che perdiamo sotto un’auto o in guerra, sono l’unica prova concreta della loro esistenza e del loro passaggio. E ad essi ci aggrappiamo in memoria di loro, della pestilenza con cui hanno travolto la nostra vita prima della loro fuga. E ancora li amiamo, ancora li cerchiamo, ancora li perdoniamo. Oppure No.
Perché siamo più tolleranti o forse….
Forse solo più -irrimediabilmente- coglione.

lunedì 1 marzo 2010

La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen

Cara Cecilia,
Ti osservo dal buco della serratura. Non chiedermi, ti prego, chi di noi due sia quello dentro lo
schermo o al di là di esso, perché non potrei dirlo con sicurezza e in ogni caso non importa molto.
Ti ho vista al cinema, nel luogo dove nei momenti liberi ti rifugi a respirare; è come se ti sedessi
davanti allo schermo per vivere un po’ anche tu, almeno nei ritagli di tempo. Sì perché immagino,
sono sicuro, che il bar e quel tuo grasso e stolto marito rappresentino uno dei brutti sogni che
arrivano la notte. (Io vado a dormire con la pace nel cuore, Cecilia, perché forse domani non mi
sveglierò e questa corsa che mi uccide avrà fine). Quando la tua finzione, la nostra, amore, è
diventata realtà, quando son balzato fuori dallo schermo col mio cuore leale e puro e i miei soldi da
scena e il mio ridicolo casco, allora, Cecilia, venivo verso di te, accettavo il tuo mondo fatto di
finzione vera e di grigiore per amor tuo. Per te, Cecilia, accettavo il dolore e il pianto di chi fa
l’amore senza amore, di chi pensa che un esploratore in fuga sia gretto quanto lo è lui, di chi picchia
la moglie per farla rigar diritta (come l’hai sopportato, Cecilia, come hai fatto a non fuggire prima?
E del resto, fuggire? Come avresti potuto?). Qui fuori ti bacio e non c’è dissolvenza, sì, insomma,
manca qualcosa, qualcosa non funziona, come per le lampadine fulminate. Però il sapore della pelle
dalla pellicola non si sentiva. La tua, per esempio (per esempio? Ma se conosco solo la tua?), la tua
sa di pesca e dei pop-corn che ti porti in sala e poi sa di lavanda e di amido; non so come dire, forse
proprio di pulito, niente celluloide: carne allo stato puro. E ora mi hai lasciato. Sono tornato in
questo mondo in bianco e nero che non profuma di niente e non ha sapore. Ma che ti fa sognare. Se
mi alzo ogni giorno, se ogni giorno torno al Copa Cabana, Cecilia, lo faccio per te, per regalarti un
sorriso e continuare a baciarti, anche se da lontano. Non so se tu sia ancora lì tra il pubblico (ho
sempre avuto paura di voltarmi. Da allora non ti ho più cercata perché in quel mondo misterioso tu
potresti non esserci più e non potrei sopportarlo…) ma sento la tua presenza, i tuoi occhi su me e
vivo adesso e ogni giorno il nostro amore, pieno di quelle altre dissolvenze, quelle di cui il cinema
non è capace. Io ti salvo. Voglio crederlo. Devo crederlo per continuare a vivere, o a non-vivere, se
preferisci. E non so nemmeno se lui, l’altro, il mio altro, io insomma sia tornato a prenderti…
Se ben lo conosco posso dire con certezza che lui non c’è, che lui è fuggito e non ritornerà.
Che io invece resisterò sempre; e solo questo ci salva entrambi perché sempre mi alzo e parto al
mattino alla ricerca di ciò che voglio donarti e che ogni giorno ti porgo
La mia rosa purpurea strappata al deserto del mitico Cairo.