venerdì 24 aprile 2015

Genni resistente


“L’unico modo per salvarsi dal male era: lottare contro questo male” 

Domani sarà il 25 aprile. La mia tesi di laurea mi ha fatto conoscere una donna che quella data l’ha vissuta sulla sua pelle. La mia Genni, di cui ho parlato già qui e qui, non è da meno del marito Gabriele, partigiano. Mentre lui si riugia sulle montagne con il Fronte della Gioventù, infatti, Genni diventa una staffetta del Partito Comunista Italiano. Porta documenti, ordini, notizie, ogni tanto persino armi, da un capo all’altro della città con la sua bicicletta dotata di cestino. Spesso guida soldati angloamericani riusciti a sfuggire dalla prigionia. Una fotografia dell’epoca la ritrae a cavallo della sua bicicletta con una gonna scura e una camicia bianca; Genni si guarda alle spalle, pare controllare la strada. In un’altra emozionante immagine, Genni compare sul lato sinistro, quasi in secondo piano; porta degli occhiali scuri e tiene diritta la sua bicicletta; davanti a lei si riconosce la figura dell’amico Albe Steiner. In particolare le relazioni più strette Genni le ha comunque con Emilio Sereni, ebreo dirigente del PCI, con l’allora giovane studente Gillo Pontecorvo e infine con il futuro sindaco di Bologna Mario Dozza. Gillo Pontecorvo, futuro regista di fama internazionale e responsabile politico del Fronte della Gioventù, ha con i Mucchi un rapporto privilegiato e si rifugia spesso nella loro casa di via Besana, dove la coppia si è ritirata dopo il bombardamento di via Rugabella. Insieme al marito, dunque, Genni rischia più volte la vita, soprattutto nei continui spostamenti tra Milano e Salò, lungo una strada spesso palcoscenico di atroci bombardamenti. Gabriele ricorda i fossi di Treviglio, in cui tanto spesso lui e la scultrice si rifugiano per scampare agli apparecchi mitragliatori. Una volta, poi, la nostra protagonista  si trova coinvolta, sola, in uno scontro tra partigiani e nazisti: getta a terra la bicicletta e comincia a sperare che i connazionali tedeschi non la trovino tra i combattenti delle montagne. Sarebbe morte certa. Quanto a “Genni resistente”, quindi, quella certificata dalla Commissione Riconoscimento Qualifiche Partigiane per la Lombardia e dalla Federazione Milanese del Partito Comunista Italiano, la donna dimostra in ogni occasione intelligenza e destrezza; la sua conoscenza dell’indole umana le permette infatti di affrontare anche le situazioni più drammatiche. C’è un aneddoto straordinario in merito. Lo racconta Gabriele nelle sue preziosissime memorie, nonchè nella lettera che scrive a Berthold Müller dopo la morte della scultrice. Un giorno un milite fascista ferma Genni in strada con la sua solita bicicletta; le domanda quale sia il contenuto del cestino. In quest’occasione il doppiofondo contiene qualcosa di ancora più prezioso e pericoloso del solito: una pistola. Genni sa che in quei minuti sta rischiando la vita. Eppure mantiene il suo sangue freddo e risponde di portare con sè una bomba. Il milite fascista apre il cestino e sorride alla vista del grosso cavolo che cela il doppiofondo “Ah, buona per la colazione questa bomba, eh signorina?”. Quest’episodio curioso che salva la vita a Genni e garantisce il successo della sua ennesima consegna, pare tratto da un libro di barzellette sulla cocciutaggine dei militari; in realtà dimostra quanto la nostra scultrice conoscesse la psiche umana. Se Genni avesse risposto di portare con sè un cavolo, probabilmente il giovane fascista avrebbe controllato con più attenzione il suo cestino. Al contrario, autodenunciandosi per qualcosa di ancora più grave di ciò che sta facendo, questa incredibile staffetta del PCI, questa scultrice straordinaria, questa donna che amo conquista l’immediata fiducia del suo antagonista. Mai si potrebbe pensare, del resto, che la sua sia in realtà una doppia bugia.

domenica 12 aprile 2015

Tra Ponti del Diavolo, atti di povertà e ritrovamenti archeologici nel paese degli uccelli



                                                                         







Chi è dunque il nuovo marito di Annunziata?  
Giovanni Bastagli, come dicevamo qui, è un contadino. E' nato l'11 dicembre del 1835 da un possidente terriero di nome Natale e da sua moglie Celesta Bartolini e porta il nome del nonno paterno. Però, per quanto il padre risulti appunto possidente, quando sposa Annunziata, Giovanni è povero, anzi poverissimo. Per questo richiede ed ottiene un atto commovente che lascia parecchio da pensare a chi come noi vive in un benessere per lo più dato per scontato. E' il certificato di povertà che vedete qui sopra. Il 23 luglio del 1876 tale Zanotto, sindaco di Lama Mocogno, certifica -come da regio decreto del settembre di due anni prima- che Giovanni e Annunziata sono "persone povere perché nulla tenenti". Proprio per questo hanno diritto a ricevere su carta libera e senza alcun costo i rispettivi certificati di nascita e di vedovanza acclusi al loro atto di matrimonio e indispensabili per sposarsi con rito civile, essendosi a suo tempo già entrambi sposati in chiesa.






Giovanni è infatti rimasto vedovo ormai da tre anni. La sua prima moglie, Rosa Busi, 37enne, è morta l’8 aprile del 1873, undici anni dopo la morte del mio avo Natale. Con Rosa, Giovanni ha avuto almeno 3 figli: Michele nato nel 1864 e morto l’anno seguente; Catterina Maria Domenica, nata il 13 marzo 1870 e morta a soli 20 mesi; Leonida Natale Antonio, nato il 7 luglio 1872. Già allora, ai tempi della prima sposa, la vita di Giovanni si divide tra Sassostorno e la Sardegna. Sull'isola, infatti, Giovanni si trasferisce ogni anno appena terminati i lavori nei campi modenesi. Proprio per questa ragione non è quasi mai lui a recarsi al Comune di Lama Mocogno a registrare la nascita dei figli come vorrebbe la consuetudine. Prima del matrimonio con rito civile con Annunziata, però, l'allora vedovo Giovanni si reca per una volta di persona a Lama. E' il 16 luglio 1876 e Giovanni deve registrare la figlia Catterina Rosa. Ma chi è la mamma della bambina? I documenti dicono che si tratta di donna nubile che non ha legami di parentela con lui. E ancora dicono, in una nota a margine, che il 18 ottobre di quello stesso anno Annunziata riconoscerà come sua la bimba. Ma è davvero lei la sua mamma? Non lo sappiamo. Non sappiamo se Catterina sia il frutto di un altro amore di Giovanni o se abbia un papà e una mamma diversi (poco dopo aver scritto questo pezzo ho rinvenuto in questo atto di matrimonio la dichiarazione di Annunziata che sostiene che la figlia sia sua). Comunque sia Annunziata la riconosce e la cresce come figlia sua assieme agli altri figli: Adamo Antonio Pellegrino (nato il 12 gennaio 1878), Luigia (nata il 27 marzo del 1882), Maria Pasquina Giovanna (la mia bisnonna, nata il 28 aprile 1884) e Natale (nato il 16 luglio 1886). Con loro vivono forse i figli dei precedenti matrimoni di Giovanni e Annunziata, rispettivamente Leonida Natale Antonio, Domenica e Maria Grandi. Se così fosse al n. 58 di Sassostorno, in località detta Ca' Malgari, la famiglia è parecchio numerosa e composta da una decina di persone. E sicuramente la vita per loro non è facile. Gli anni che hanno preceduto la nascita di Luigia sono stati  infatti particolarmente inclementi dal punto di vista atmosferico con inverni rigidi e piogge abbondanti capaci di danneggiare il raccolto e i filari d'uva, come racconta la relazione del prefetto di Modena del 1879.










Vorrei fare però una sintetica digressione sulla storia di questo delizioso paese. Il nome di Sassostorno deriva quasi sicuramente dalla presenza di stormi di uccelli che sono soliti nidificare negli anfratti rocciosi presenti sul territorio. Nell'Ottocento dei nostri protagonisti, dunque, il paese degli uccelli fa capo al Comune di Lama Mocogno e trova il suo nucleo rurale nella cosiddetta Ca' di Malgari e nella piazza della chiesa di San Michele, fondata tra il 1100 e il 1200. Sul territorio rimane oggi anche la cosiddetta Torraccia, che forse faceva parte di un castelletto dei marchesi locali, la famiglia Tacoli. Nel 1878, anno in cui nasce il mio prozio Adamo Antonio Pellegrino, sui monti di Sassostorno viene ritrovato un sepolcro, probabilmente di epoca romana, contenente un cadavere carbonizzato, fibule e altri oggetti preziosi. Lo svelerà in maggio il Marchese Ferdinando Caleri Cesi all’avvocato Pietro Bartolotti come da indicazioni della Gazzetta Ufficiale di quell’anno che vedete qui sopra. Chissà se qualcuno dei miei prozii, curiosi come me, è andato a sbirciare cosa accadeva sui monti quando vi si aggiravano tutti quegli aspiranti archeologi...


Lama Mocogno comunque non è lontana ed è un centro fondamentale per il commercio del modenese, soprattutto da quando, nel Settecento, sono state realizzate la Via Giardini, che oggi è niente poco di meno della Strada Statale 12 che collega l'Abetone al Brennero, e la Via Vandelli che conduce ai boschi del Ponte d'Ercole noto anche come... Ponte del Diavolo. Il Ponte del Diavolo è un impressionante monolite naturale a forma di arco che, secondo la leggenda, fu dimenticato in questo luogo dal Diavolo distratto dalla danza di un gruppo di streghe. Anche qui le testimonianze archeologiche sono numerose e attestano una frequentazione millenaria, probabilmente legata alle sorgenti d'acqua che caratterizzano il territorio.

Un tocco di mistero nella storia dei bisnonni di ognuno di noi non dovrebbe proprio mai mancare. Lieta dunque di averlo scovato anche nella mia, perché ora posso immaginare le sere d'inverno della bisnonna punteggiate da leggende su streghe, diavoli e mastodontici ponti!






venerdì 10 aprile 2015

Alla ricerca del tempo perduto. In quel di Sassostorno



Nonostante l'incidente all'occhio che mi ha resa simile a uno dei protagonisti di Walking Dead, per il lunedì di Pasquetta sono riuscita ad avventurarmi, con mia sorella Dedè e i pazienti RJ e Uzzo, alla scoperta di Sassostorno. O, come dice mamma, alla Ricerca del Mio Tempo Perduto. Grazie al fortunoso recupero dell'atto di nascita della mia bisnonna, infatti, ho cominciato a ricostruire la storia dei miei avi per capire come si siano incontrati, incrociati e intrecciati tanto da dar origine alla persona che sono oggi.  Tutto ebbe dunque inizio, almeno da parte della bisnonna materna, nelle terre di Lama Mocogno, comune in provincia di Modena a poca distanza dal Monte Cimone. Non molto lontano da Lama, nel delizioso paesino di Sassostorno, è nata Maria Pasquina Giovanna Bastagli, la mia bisnonna. Era l'una passata (ante meridiana) di lunedì 28 aprile 1884.














Vorrei però fare un passo indietro. E raccontare questa storia, per quel che ne ho scoperto sinora, a partire da Annunziata, la mamma di Pasquina. Ovverossia la mia trisnonna.

Annunziata Amidei nasce il 14 luglio 1846 e viene registrata nel Libro dei Nati e dei Battezzati della Parrocchia di Fiumalbo, un borgo dell’Appennino modenese poco lontano da Pavullo nel Fregnano. Ne vedete testimonianza nell'immagine qui sotto. Il suo cognome è molto comune a Fiumalbo, paese che possiamo immaginare (credo) come una sorta di famiglia allargata in una terra dove si coltivano ortaggi, frutta, uva da vino, cereali e foraggi. I genitori di Annunziata si chiamano Maddalena Lonzini e Luigi Amidei e sono entrambi residenti a Groppo, una frazione di Riolunato, lui pure comune della regione del Fregnano. Non so perché, ma nella mia immaginazione l'amore tra Maddalena e Luigi è appassionato e profondo. Sarà una sensazione, saranno i loro nomi... non so. Ma qui, insomma, la narrazione prende la piega del romanzo e si aprirebbe un capitolo intero. Quando la piccola Annunziata viene al mondo siamo in piena estate, stagione che in queste terre è caratterizzata da temperature calde che possono talvolta raggiungere i 30 gradi. Della famiglia della piccola fanno parte i fratelli Adamo e Michele e, se ancora in vita, i nonni paterni Lorenzo Amidei e Caterina Bartolotti e quelli materni Giovanni Lonzini e Barbara (dal cognome illeggibile negli atti).














A 21 anni Annunziata si sposa: è il 10 novembre del 1867 quando diventa la moglie di Giuseppe Grandi. Che però non è il mio trisnonno! Giuseppe è figlio di Gio Domenico di Castellino, un bracciante di Riolunato, e di Annunziata Ugolini, che fa la filatrice. Quando si sposa Annunziata va a vivere con il marito e i suoceri presso la cosiddetta Casa di Castaldo che si trova a Castellino, sempre nel territorio di Riolunato. Il 17 maggio 1868 nasce la prima figlia della coppia, Maria Domenica, che muore dopo solo 21 ore di vita. Il 9 luglio del 1869 nasce la figlia Domenica, che nel 1889 sposerà Zanelli Giuseppe Patrizio Annunziato. Passano altri due anni e il 23 aprile 1871 nasce infine Maria. Tre anni dopo il marito di Annunziata si ammala di vaiolo e muore a 36 anni in Casa di Castaldo a Castellino. E’ il 7 agosto 1874 e Annunziata, che non ha nemmeno 30 anni, rimane vedova. E qui capisco che dall'orrore del vaiolo possono nascere nuove famiglie e nuove storie. Quelle da cui, per l'appunto, derivo io.

Annunziata si risposa infatti con rito civile due anni dopo, il 29 settembre del 1876, andando a vivere a Sassostorno col nuovo marito, il mio trisnonno Giovanni Bastagli, che fa il contadino ed è figlio di Natale Bastagli (1791-1862) e di Celesta Bartolini, figlia di Bernardo Bartolini. Natale è a sua volta figlio di Giovanni Bastagli e di Maria Rietri.

Per oggi può bastare direi. Perché come avete visto siamo arrivati in pieno Settecento! Ovverossia: il papà e la mamma del mio trisavolo Natale sono nati e cresciuti in pieno Diciottesimo secolo. E sono brividi, non c'è che dire.

Mio padre mi ha chiesto qualche settimana fa: "Non sarebbe stato meglio chiedere qualcosa in più a nonna quando era in vita?". E ha pure ragione papà. Ma lo sappiamo: noi essere umani siamo sempre in ritardo. O almeno questo vale per me e per la mia storia.