“L’unico modo per salvarsi dal male era: lottare contro questo
male”
Domani sarà il 25 aprile. La mia tesi di
laurea mi ha fatto conoscere una donna che quella data l’ha vissuta sulla sua
pelle. La mia Genni, di cui ho parlato già qui e qui, non è da meno del marito Gabriele,
partigiano. Mentre lui si riugia sulle montagne con il Fronte della Gioventù,
infatti, Genni diventa una staffetta del Partito Comunista Italiano. Porta
documenti, ordini, notizie, ogni tanto persino armi, da un capo all’altro della
città con la sua bicicletta dotata di cestino. Spesso guida soldati
angloamericani riusciti a sfuggire dalla prigionia. Una fotografia dell’epoca
la ritrae a cavallo della sua bicicletta con una gonna scura e una camicia
bianca; Genni si guarda alle spalle, pare controllare la strada. In un’altra
emozionante immagine, Genni compare sul lato sinistro, quasi in secondo piano;
porta degli occhiali scuri e tiene diritta la sua bicicletta; davanti a lei si
riconosce la figura dell’amico Albe Steiner. In particolare le relazioni più
strette Genni le ha comunque con Emilio Sereni, ebreo dirigente del PCI, con
l’allora giovane studente Gillo Pontecorvo e infine con il futuro sindaco di
Bologna Mario Dozza. Gillo Pontecorvo, futuro regista di fama
internazionale e responsabile politico del Fronte della Gioventù, ha con i
Mucchi un rapporto privilegiato e si rifugia spesso nella loro casa di via
Besana, dove la coppia si è ritirata dopo il bombardamento di via Rugabella. Insieme
al marito, dunque, Genni rischia più volte la vita, soprattutto nei continui
spostamenti tra Milano e Salò, lungo una strada spesso palcoscenico di atroci
bombardamenti. Gabriele ricorda i fossi di Treviglio, in cui tanto spesso lui e
la scultrice si rifugiano per scampare agli apparecchi mitragliatori. Una
volta, poi, la nostra protagonista si trova coinvolta, sola, in uno
scontro tra partigiani e nazisti: getta a terra la bicicletta e comincia a
sperare che i connazionali tedeschi non la trovino tra i combattenti delle
montagne. Sarebbe morte certa. Quanto a “Genni
resistente”, quindi, quella certificata dalla Commissione Riconoscimento
Qualifiche Partigiane per la Lombardia e dalla Federazione Milanese del Partito
Comunista Italiano, la donna dimostra in ogni occasione intelligenza e
destrezza; la sua conoscenza dell’indole umana le permette infatti di
affrontare anche le situazioni più drammatiche. C’è un aneddoto straordinario
in merito. Lo racconta Gabriele nelle sue preziosissime memorie, nonchè nella
lettera che scrive a Berthold Müller dopo la morte della scultrice. Un giorno
un milite fascista ferma Genni in strada con la sua solita bicicletta; le
domanda quale sia il contenuto del cestino. In quest’occasione il doppiofondo contiene
qualcosa di ancora più prezioso e pericoloso del solito: una pistola. Genni sa
che in quei minuti sta rischiando la vita. Eppure mantiene il suo sangue freddo
e risponde di portare con sè una bomba. Il milite fascista apre il cestino e
sorride alla vista del grosso cavolo che cela il doppiofondo “Ah, buona per la
colazione questa bomba, eh signorina?”. Quest’episodio curioso che salva la
vita a Genni e garantisce il successo della sua ennesima consegna, pare tratto
da un libro di barzellette sulla cocciutaggine dei militari; in realtà dimostra
quanto la nostra scultrice conoscesse la psiche umana. Se Genni avesse risposto
di portare con sè un cavolo, probabilmente il giovane fascista avrebbe
controllato con più attenzione il suo cestino. Al contrario, autodenunciandosi
per qualcosa di ancora più grave di ciò che sta facendo, questa incredibile
staffetta del PCI, questa scultrice straordinaria, questa donna che amo
conquista l’immediata fiducia del suo antagonista. Mai si potrebbe pensare, del resto, che la sua sia in realtà una doppia
bugia.