Questa è l’ultima fotografia che ho scattato a Sarajevo, ieri mattina, giusto un’oretta prima di andare in aeroporto. Il vento aveva già iniziato a fare il suo giro (poi avrebbe impedito il volo e mi avrebbe messa su un pullman facendomi attraversare il paese per arrivare infine a casa a mezzanotte passata). Chi sa, mi anticipa che lo sentirò ancora dentro, quel vento, per un bel po’. Ma il mal di Sarajevo si era fatto sentire già prima che ci mettessi piede. Una nostalgia preventiva. Forse perché, come ha detto una nuova amica conosciuta poco prima partenza, a Sarajevo ci accomunano cose. E poi però venne questo weekend che sciolse ogni cosa e trasformò un pezzo di me in qualcosa di diverso che non pensavo di contenere, che ancora non conosco veramente ma che sicuramente so di voler amare. Come mi sono innamorata, perdutamente, ardentemente, immensamente di questa città mondo che si chiama Sarajevo.
Tenendo per mano il bianco e nero, come si tiene per mano un figlio difficile, una verità che non si vuole lasciare scappare.
La mostra restituisce le sfaccettature della sua vita: dagli esordi negli anni Settanta al ritorno in Sicilia, dal lavoro di strada al suo impegno sociale instancabile. Le sue immagini non filtrano, non alleggeriscono: mostrano la ferocia della violenza mafiosa, ma anche l’ostinata dignità dei più fragili, le contraddizioni e la bellezza di Palermo, delle sue donne, dei suoi quartieri, dei suoi fantasmi.
Letizia guarda e non distoglie lo sguardo. Guardare, per lei, era un atto politico.
Eppure ad Arles, mentre ci si muove tra le sue fotografie, capita spesso di pensare a Maria Lai. Forse perché le donne delle isole si riconoscono tra loro: portano nelle mani lo stesso filo, la stessa pazienza, la stessa necessità di raccontare il vero. Sono “fate morgane”, per usare il titolo della mostra milanese di Palazzo Morando, donne che intrecciano leggende terrestri, memorie dure, visioni luminose.
Lai cuciva il mondo, Battaglia lo fotografava. Entrambe, a modo loro, hanno tenuto insieme ciò che rischiava di sfilacciarsi: le storie degli ultimi, delle comunità dimenticate, dei corpi esposti alla violenza o alla miseria. Hanno raccontato le isole senza addolcirle, senza tradirle.
Ad Arles, tra la luce della Provenza e il silenzio delle sale, le immagini di Letizia Battaglia sembrano parlare con la sua voce roca, la sua tenerezza dura, la sua urgenza. Ed è come incontrarla di nuovo.
















































