Quando uscì “Magdalene” di Peter Mullan, andai al cinema a vederlo con Lorella, collega libraia alla Feltrinelli di via Manzoni. Erano sempre gli anni dell’università e anche degli esami di cinema, ma miglior insegnante di Lorella per quanto riguardava i film non avrei potuto trovarla. Lei vedeva praticamente tutto quanto passava ai festival, soprattutto in lingua originale, e aveva una passione per Ken Loach e una per ’Irlanda. Quella sera uscii dalla sala terrorizzata. “Magdalene” narra, con decenni di ritardo, la storia delle donne irlandesi “perdute” e recluse, cui vennero sottratti i figli e cui fu elargito in cambio un carico di vergogna, dolore, violenza. Le Magdalene Sisters sono un’altra delle ferite di questo paese, meno evidente a un primo sguardo - e forse anche per questo ancor più profonda e radicata - costantemente all’onor di cronaca, perché sepolture che riguardano le Magdalene e i loro bambini fanno periodicamente capolino sui media. Una di quelle ferite per cui è difficile immaginare medicamenti, se non la ribellione - come quella di Edna O’Brien, delle sue irrefrenabili e ironiche “Ragazze di campagna” e di tutte le donne irlandesi che dell’oppressione cattolica si sono, con fatica, determinazione, coraggio, definitamente liberate. Liberate tenendosi però a stretti denti l’essenza di uno spirituale femminile evidente e potente, come quello di Santa Brigida, che prima che cristiana era la dea madre Brigid, celtica fino al midollo, quasi come la croce che porta il suo nome. In gaelico la preghiera per lei fa più o meno così “A Naomh Bríd a Mhuire na nGael, scar orainn do bhrat” - che sarebbe qualcosa come “Oh Brigid, Mary of the Gael. Spread your mantle over me, where ’ere I am, where ’ere I be”.
venerdì 15 agosto 2025
Maddalene d'Irlanda
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