mercoledì 21 agosto 2013

Kyoto, mon amour


Quest'estate sono stata travolta da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto.

Ci sono città che ti sorprendono all'improvviso come il sapore di spezie nuove sulla punta della lingua. Con Kyoto è andata così.

Mi aspettavo una città maestosa e ricca di storia, monumenti, santuari.
Invece mi sono trovata di fronte a un luogo non solo intriso, ma composto di bellezza. Nato dalla bellezza. Non un telo  bianco pucciato nella tintura, ma una città le cui fibre originarie sono fatte di colore e luce. Anzi di tubetti di pittura, lanterne di pietra e racconti millenari.


Il primo ricordo a caldo, dopo appena qualche giorno, corre veloce al fiume Kamo. Un corso d'acqua discreto, ma anche fiero ed elegante che scorre attraverso il cuore della città costeggiando Gion e Pontocho, i quartieri delle Geishe, il germe pulsante delle notti fi Kyoto. D'estate i locali sulla riva del Kamo costruiscono delle pedane che sporgono sull'acqua. Sono le cosiddette kawayuka che esistono da tempi immemorabili come mostra l'immagine qui sopra. Così, quando dopo una giornata afosa me ne stavo lì -seduta ai tavolini del Sent James Club, con la mia Sapporo gelida tra le mani ad osservare il rosa del tramonto trasformarsi in oro,  in rosso fuoco e infine in blu elettrico- avevo di fronte edifici tradizionali giapponesi e palazzi da ville lumière. Come quello che vedete nella parte sinistra della foto in alto, il Tokasaikan. Un edificio ultimato negli anni Venti del Novecento dall'americano William Merrell Vories, trasferitosi in Giappone per insegnare inglese e rimasto poi qui per amore rispolverando anche la sua antica professione di architetto.

Ecco la prima folgorante rivelazione. Quella sera ho sentito che Kyoto era una città in sintonia col mio spirito. Una Parigi d'Oriente, fatta di miscellanie e di sincronie. Una città che -una volta scoperta- diventa l'amore della tua vita e non ti lascia più.

Sì, Kyoto Mon Amour.



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