Poco più di un mesetto fa il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto ha riaperto al pubblico dopo una pausa dedicata al radicale
miglioramento delle sue infrastrutture. Con l’occasione è stata inaugurata
anche una mostra che mi porterò dietro per parecchio tempo, non solo perché ci
sto lavorando sopra cercando di raccontarne la protagonista agli amici al di
qua del confine, ma anche perché tocca molte delle mie corde più intime. L’eroina della nostra storia è «Marcello», ovvero Adèle d'Affry (1836-1879), duchessa di Castiglione
Colonna. Una donna dunque, e una
scultrice, come la mia amata Genni Wiegmann Mucchi.
Quella di Marcello è stata una vita breve, al
centro dell’élite artistica del tempo e immersa tra personalità come quelle di
Courbet, Delacroix, Merimée, Napoleone III, l’imperatrice Eugenia, Manet,
Berthe Morisot... La mostra presenta così per la prima volta al pubblico di
lingua italiana l’opera interessante e originale di questa artista friburghese,
che tanti legami ebbe con l’Italia e che passò anche per la mia Milano.
La vita e l’opera delle donne artiste, siano esse
pittrici, scultrici, scrittrici, hanno avuto di recente una nuova fortuna. Se a
partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento si sono sviluppate
ricerche sulla storia delle donne finalizzate a dare visibilità a un soggetto a
lungo tenuto ai margini delle indagini tradizionali, negli ultimissimi anni il
ruolo femminile nella storia e nella storia dell’arte è stato irradiato di
nuova linfa vitale.
Oggi l’arte realizzata da mani femminili non viene
affrontata solo in quanto tale, ma anche come strumento per approfondire alcuni
temi specifici, come quelli della famiglia, del lavoro, della cittadinanza, del
rapporto tra sfera pubblica e domestica, della guerra, del corpo e della
maternità, della religione e dell’istruzione. Un modo nuovo per ricostruire il
vissuto delle donne (e degli uomini) e le loro esperienze singolari e
collettive.
Per Marcello, però, c’era qualcosa in più che
solleticava le mie corde.
Proprio com’è accaduto per lungo tempo all’opera di
Jane Austen, infatti, così anche la produzione di Marcello (pur con i naturali
distinguo tra arti e talenti) è stata troppo a lungo trascurata, probabilmente
perché ritenuta un’arte di “non rottura”, un’arte per certi versi conformista,
esposta nei Salons e riconosciuta dunque come “conservatrice” laddove il
Novecento amava invece la novità delle avanguardie. Esattamente la stessa sorte
hanno a lungo avuto i romanzi di Jane Austen, erroneamente interpretati come
opere perbeniste e prive di spessore
letterario, tutte trine e sposalizi. Solo alcuni personaggi di valore
assoluto hanno intuito la forza e l’essenza delle opere della Austen,
riconoscendola come «genio meraviglioso» (secondo le parole di Vladimir
Nabokov) o come «la più perfetta artista fra le donne» (come la definì Virgina
Woolf). Giudizi, questi, che raccontano un’eccezionale capacità di
decodificazione e una profonda conoscenza della vita e dell'opera di Jane, oltre che una sensibilità assolutamente fuori dall'ordinario.
Così, pur coi dovuti distinguo, anche la vita e l’opera
di Marcello, proprio come quella di Jane Austen, sono state a lungo sottovalutate.
Adèle è stata una donna che ha utilizzato la sua arte in maniera professionale,
anche come necessario introito economico, esattamente come facevano gli uomini
e come aveva fatto la Austen. E’ stata una scultrice che ha trovato nella
sorella la sua prima e più cara confidente (come la Austen la trovò in
Cassandra), affidando alla scrittura e all’arte epistolare tanta parte di se
stessa (esattamente come Jane). Adèle non si firmò col suo nome, si celò dietro
a quello di Marcello, proprio come la Austen si firmò inizialmente “A Lady” per
mantenere l’anonimato e per non incorrere nella condanna della società in cui
viveva.
Per questo quando la direttrice Gianna Mina e la
responsabile della comunicazione Tiziana Conte mi hanno presentato per la prima
volta la figura di Marcello, mi è sembrato che il Museo Vincenzo Vela regalasse ad
Adèle “una stanza tutta per sé”, quel luogo indispensabile per essere artiste
che Virginia Woolf raccontò così sapientemente e amorevolmente nel suo saggio
diventato leggenda.
Ma, nella storia di Adèle c’è un altro elemento
sorprendente: si tratta del ritrovamento delle lettere dell’artista, rinvenute
nello scrittoio dello Château d’Affry a Givisiez, dove aveva a lungo vissuto.
E
allora d’improvviso mi è parso che un elemento letterario che ha sancito la
fortuna di romanzi come Possessione di
Antonia Byatt diventasse realtà, plasmasse la realtà medesima. Quasi che in
fondo, come scriveva Senofonte "Queste cose non accaddero mai, ma sono sempre", come nei miti antichi.
Carissima, quanti punti di contatto tra queste due Splendide Donne, che pur appartengono a luoghi e tempi diversi - diversi tra loro, diversi da noi - e che rivivono nel nostro oggi come se fosse il loro presente. Sarà che vediamo Jane Austen ovunque (She's everywhere!), ma credo che la storia delle donne che hanno cercato indipendenza materiale e spirituale da un mondo molto poco femminile abbia sempre dei comuni denominatori. Che Virginia ha capito e spiegato come nessun trattato di sociologia, psicologia, storia, ecc. ecc. potrà mai fare, cristallizzando tutto in quel folgorante, eloquente "una stanza tutta per sé".
RispondiEliminaGrazie per questa bella conversazione.
[Buonissima visita a Chawton!]