sabato 6 febbraio 2016

Peppina, sorella ribelle

E' un lunedì di settembre del 1838 quando al convento di Cernusco sul Naviglio arriva una carrozza.


Ne scende festosa e urlante una ragazza di diciotto anni, Peppina, come la chiamano tutti in famiglia. La accompagna suo padre Francesco, che sorride sotto i baffi a sentirla esclamare "Eccomi! Sono qui anch'io! Sono Giuseppa Rogorini di Castano". Giuseppa, fiera e vitale, ingenua anche, è la sorella del mio quadris-nonno Luigi, zia dunque della mia cara Emilia. Ha il volto angelico, un amore infelicissimo alle spalle, un'energia irrefrenabile e ribelle che le attraversa il corpo. 

Quando arriva a Cernusco col suo ricco corredo di abiti (suo padre commercia sete, come sappiamo), Peppina diventa una Marcellina, ma ancor prima diventa amica intima di Suor Marina Videmari e di Maria Anna Sala. E pure di Monsignor Biraghi, con cui intrattiene una lunghissima corrispondenza e che chiede di lei spesso, spessissimo anzi, anche quando scrive alle consorelle. Non di rado Peppina fa di testa sua e viene redarguita, ripresa, punita: una notte lascia dormire in convento la zia di un'educanda ammalata. Contravviene alla regola che non permetterebbe agli esterni di trattenersi la notte assieme alle giovani ma, della punizione, pare le importi poco. A leggere il materiale (immenso) che la riguarda, pare un po' un'Antigone questa Peppina. Ha un'intelligenza brillante e autonoma, parla e scrive correttamente francese e custodisce una legge morale dentro di sé, una bontà profonda e genuina che, in ogni circostanza, prevalgono sul resto. Ha una tempra felice, come scrivono le consorelle, e dato sfogo alle lacrime "si pone in calma facilmente".

Nel 1840, quando suo zio Carlo muore, Peppina riceve in eredità 10 mila lire. Zio Carlo infatti non ha figli e lascia alla sua dipartita un patrimonio straordinario che ammonta ad oltre 400 mila lire. Da sempre studioso, devoto, attento e generoso, Carlo ha favorito l'ingresso in collegio anche dell'altra nipote, quella Teresa Valentini (figlia della sorella Annunciata e dunque cugina della nostra Giuseppa) che diventerà madre superiora e, appena trentenne, morirà poi di colera a Cernusco. Nel '40 Carlo riserva dunque ad ogni nipote maschio 20 mila lire, a ogni femmina 10. Il resto va tutto in beneficenza, benché le carte raccontino anche di un processo (perché forse qualche parte del testamento fu impugnata dagli eredi). Da dove derivava questa ricchezza immensa? In parte dall'eredità di papà Vincenzo (trisnonno della mia bisnonna) e in parte dal successo del negozio di stoffe di Carlo, in via Fustagnari a Milano, una via che non esiste più e che si trovava là dove oggi ci sono piazza Cordusio e via dei Mercanti. Ma questa è un'altra storia e noi oggi non vogliamo distrarci dalla nostra eroina. "La bona Rogorini" dunque è suora e possiede una ricca dote. Due anni dopo i voti, nel 1854, diventa così madre superiora a Vimercate, quasi a ricalcare (nei fatti esteriori almeno) le vicende della monaca di Monza. Lei e la Videmari, assieme a Biraghi, hanno in mente un'istruzione diversa per le loro allieve: moderna, corretta, laica, scevra da clausura perché per istruirsi non è necessario separarsi dal mondo né tantomeno rinunciare alla propria famiglia. Anzi "perché la clausura (la chiusura anche) è stupida e degradante e la mancanza di contatti impedisce ogni progresso". Questa cosa Peppina la sente sua anche quando i giornali del tempo accusano lei e le consorelle di "liberalismo". E su questa sua convinzione insiste, insiste, insiste. Sin tanto da andare a raccontarla nientepocodimeno che al Papa. Pio IX riceve lei e la Videmari in udienza nella primavera del 1866 e probabilmente le prende persino in simpatia.  


Ma non vuole (e non può) dare il riconoscimento pontificio all'istituto: «Non è tempo, mie dilette figlie, d'appagare le vostre brame. In breve tutti gli ordini religiosi subiranno una grande catastrofe, e voi pure ne andrete colpite. Coraggio però! Continuate a far del bene sotto qualsiasi norme e forma, purché il facciate». Poi le benedice e si ritira nelle sue stanze. Le due rientrano in via Quadronno deluse, proprio mentre scoppia la terza guerra di indipendenza italiana e, di lì a poco, viene decretata la soppressione degli ordini religiosi con incameramento dei beni ecclesiastici. Peppina non deve averla presa bene. Non so perché, ma la immagino furibonda a raccontare all'anziano padre quanto stava accadendo. Francesco per Peppina ebbe sempre stima e affetto. Una figlia così diversa da lui eppure così uguale... testarda, irruenta, contestatrice. Nel 1868 Suor Rogorini viene mandata a Genova, ad avviare una nuova casa per le studentesse dove i pranzi saranno allietati dalla musica e dalla ricreazione. Qui respira aria di mare, senza sapere che un giorno, su queste stesse spiagge, correrà bambina mia nonna, Elena, che avrà studiato come avrebbe voluto lei, in modo più laico e aperto, e che avrà una passione per le barche e per le "pavesi". Peppina tornerà a Vimercate l'anno seguente dove si spegnerà nel 1911, curiosamente in odore di santità. Lei, la sorella ribelle.
Le sue vicende, come le altre che sto raccogliendo, fanno parte della straordinaria e scombinata storia dell'albero genealogico da cui discendo. Composto da fuggitivi, mercanti di sete, baritoni della Scala, becchini solari, pittori squattrinati, emigranti in terre francesi, medici di Costantinopoli e indomabili chiome color rosso fuoco.


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