venerdì 21 agosto 2015

Quando gli artisti (e non solo) si riuniscono: storie di scogliere, "pittori-pescatori" e cimiteri sulla collina

Giorno Tre
Dopo la ricca colazione di Lynn e John (di cui vi avevo raccontato alla fine di questo post), lunedì la giornata si presentava coperta e ventosa, così abbiamo deciso di visitare la Tate di Saint Ives. Nella remota Cornovaglia, infatti, la Tate ha aperto un distaccamento, minuto ma curato, che si affaccia sulla spiaggia e che simboleggia anche un po' un omaggio a tutti quegli artisti del Novecento che in questo paesino di pescatori hanno trovato la loro ispirazione, in primis Kit Wood, Barbara Hepworth, Ben Nicholson, Naum Gabo. Con una piccola aggiunta al costo del biglietto, si ha diritto a un ticket speciale che permette, entro sette giorni, proprio l'accesso alla casa museo di Barbara Hepworth. Consiglio senza dubbio di approfittarne perché, come vi racconterò in una delle prossime puntate, la residenza e soprattutto il giardino e la storia di Barbara valgono assolutamente una visita.
Qui sento la necessità di un piccolo inciso. Il tema delle colonie di artisti mi affascina sin da quando ero piccola. Mi sono appassionata ai Nabis, a Die Brucke, a Pont Aven. La ragione di questo miscuglio di emozioni si è fatto più limpido da quando vivo, per un pezzetto dell'anno, a Montaletto. Questo luogo dal sillabare poetico è una frazione tra Cervia e Cesena e rappresenta il mio rifugio in mezzo alla natura. I campi sul retro della casa, l'orto, gli alberi da frutto; le colline sulla linea dell'orizzonte, le cicale, i grilli, i gabbiani, l'aria del Mediterraneo (che non è troppo lontano). In questo buen ritiro vivo nel mio piccolo l'esperienza della colonia. Nella parte bassa della casa colonica (e forse già questo nome doveva darmi un indizio in tal senso) si trova infatti lo studio di design di Ric e Marco. Loro disegnano, progettano, inventano, costruiscono, fotografano. E qui a casa, ogni volta che ci veniamo ma anche quando manchiamo, sostano e passano amici stravaganti, viaggiatori di rientro dal lontano oriente, elettricisti pasticcioni ma all'avanguardia, giocatori di basket, esperti di fanzine, cuoche, chimici, giardinieri. Non c'entra nulla con gli artisti, lo so. Eppure tutte queste persone non passano solo a trovarci: vivono qui per un po' qui, con naturalezza e consuetudine, come in un Kibbutz. Litigano, mangiano, ridono, strillano, riflettono. Ecco, tutti loro, come in una colonia d'artisti, mi raccontano ogni giorno un pezzo della loro storia e la mescolano alla mia. Nella mia immaginazione anche a Saint Ives, a Darmstadt, a Pont Aven, accadeva qualcosa di simile. E dava vita a quadri e sculture che si portano dentro questo concentrato di cose, questa essenza vitale.


Tornando alla Tate, abbiamo fatto un giro tra le opere della mostra temporanea Images Moving out onto space per intuire poco dopo, attraverso le imponenti vetrate del museo, che il cielo si stava aprendo e il sole faceva capolino tra le nuvole. Così, cambio immediato di programma: siamo scesi lungo la spiaggia e siamo tornati in hotel per recuperare le nostre scarpe da trekking. La punta estrema della Cornovaglia, Land's End, ci stava aspettando. L'abbiamo raggiunta percorrendo la strada costiera, incrociando traversate di pecore, scorci strepitosi sul mare, miniere in rovina (ho scoperto che a Saint Ives hanno vissuto anche tantissimi minatori). Appena arrivati, abbiamo seguito il suggerimento della Lonely Planet: abbiamo lasciato l'auto al parcheggio e abbiamo saltato a pie' pari l'orrido centro servizi (una sorta di inutile e brutto luna park). Pochi passi più in là si apriva uno degli scenari più sorprendenti che io abbia mai osservato. Una distesa di oceano blu intenso, intarsiato dalla schiuma delle onde. Speroni rocciosi, colline verde brillante punteggiate da macchie viola di edera profumata e fiori di campo gialli e arancio. Un tappeto erboso morbido e incantato proteso verso il mare. Più ci si allontana dall'inizio del percorso, più i panorami si inaspriscono e si fanno più autentici grazie alla solitudine che ne deriva (la maggior parte dei turisti si accontenta del primo scorcio). E' come se i luoghi guardati da meno occhi si preservassero più incontaminati conservando un'energia più nitida e possente.
Dopo il nostro tour dall'alto, il desiderio di scendere verso il mare, i suoi fari, le sue correnti, ha cominciato a risuonare come un canto di sirena. Ci siamo quindi diretti verso la baia di Porthcurno, dove attraversata una profumata pineta ci si trova su una piccola spiaggia di sabbia dorata, una gelida piscina naturale dove il sole brilla vividissimo rispecchiandosi tra rocce e acqua. Ric, come di consueto, ha cominciato la sua arrampicata per scovare per la sua macchina fotografica gli scorci più freschi. Io, come di consueto, sono invece rimasta in spiaggia e mi sono addormentata pensando ai messaggi segreti che erano passati dalla linea telegrafica sottomarina che collegava Londra e Bombay e che passava proprio da qui (tanto che uno dei punti di interesse è proprio il Museo del Telegrafo).
Prima di rientrare alla base per la doccia, ci siamo fermati al Barnoon Cemetery, il più antico
cimitero di St Ives. Situato su una collina che digrada verso il mare, il Barnoon è un luogo che trasmette pace e semplicità. Uno di quelli in cui, a dover scegliere, non dispiacerebbe trovare la famosa e temuta ultima dimora (detto così sembra di stare in un romanzo gotico, ma in effetti credo che chiunque lo visiti si trovi a pensarlo). Tra i suoi "ospiti" più celebri, c'è un pittore pescatore che mi piace molto. E' Alfred Wallis, artista nato a Penzance a metà Ottocento e trasferitosi quindi a St Ives. La sua è una di quelle pitture che definiamo "primitive" o "naif": è essenziale, concreta, ridotta all'osso. Come disse Nicholson quando le conobbe, le opere di Wallis non sono pitture, sono "eventi attuali" e non poterono che influenzare gli artisti come lui, che negli anni Venti del Novecento cominciarono ad istallarsi a St. Ives alla ricerca di autenticità e bellezza. Penso che Alfred amasse particolarmente Barnoon. E che dall'alto della collina possa ancora apprezzare la costa quasi scolpita di quella punta di Cornovaglia.
Per la sera cercavamo un ristorante tipico per concludere la giornata portando anche nel gusto i sapori di queste terre. Abbiamo così scovato un delizioso bistrot (d'estate è indispensabile prenotare) poco lontano dal porto. Il St Andrew è un po' un'anomalia tra i locali di St. Ives, dove il fish & chips va per la maggiore. Si prende i suoi tempi, crea piatti con prodotti semplici ma mescolati in modo originale. Ti accoglie in un'atmosfera francese, un po' bretone e un po' parigina, e con un antipasto di pane fatto in casa e burro freschissimo. Io mi sono data alle verdure, con degli asparagi memorabili e formaggio di capra profumatissimo (piccolo inciso: il soprannome con cui la sorella Vanessa chiamava Virgina Woolf era Goat, capra, come mi ha ricordato di recente la serie tv sul gruppo di Bloomsbury appena lanciata dalla BBC). Ric ha optato per il salmone, forse con qualche salsa di troppo rispetto ai suoi gusti, ma comunque molto buono (mi ha detto) e certamente ben presentato. In questo caso non ci siamo fatti mancare nemmeno il dolce, dividendoci un adorabile Milk Chocolate Brownie affiancato da gelato al caramello salato.
Anche il day n. 3 volgeva alla fine. Mi sono addormentata come un sasso, quasi perdendo i sensi. E infatti di quella notte non ricordo nulla, se non il vociare tranquillo e cadenzato dei gabbiani oltre la nostra finestra. Chissà se il giorno dopo "sarebbe stato bello", mi chiedevo. Come in Gita al faro.



Giorno Uno

Giorno Due

Giorno Tre

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