Ferite a vista.
La grande carestia causata dal parassita della patata di metà Ottocento.
L’Irish Diaspora, la migrazione di milioni di persone verso gli Stati Uniti alla ricerca di una vita migliore.
La guerra di indipendenza in senso lato, dal lunedì di Pasquetta del 1916 sino ai troubles durati fino al cessate il fuoco degli abbi Novanta.
Se visiti l’Irlanda queste tre ferite le incontri dappertutto e sono più che cicatrici (con tutta la retorica che accompagna ormai questa parola), perché per molti versi fanno ancora parecchio male, come il memoriale della carestia di Rowan Gillespie o come l’EPIC museum dedicato all’emigrazione. E poi ci sono lotte viventi al carcere di Kilmainham Gaol, ma pure per le strade e i parchi (a Dublino nei punti delle insurrezioni come il gazebo allestito per i feriti del 1916, a Belfast nei muri parlanti). E ci sono le foto dei tanti lavoratori del castello Kylemore per cui l’arrivo, a metà Ottocento, di un ricco finanziere rappresentò la fortuna di avere lavoro per un po’ di anni di fila, fortuna a lungo insperata. In un momento in cui di memoria parliamo tanto -soprattutto in virtù di quello che chiaramente non abbiamo per nulla imparato del nostro abusato e novecentesco “non dimenticare”- sicuramente la storia vivente di Irlanda ci dice parecchie cose se solo stiamo ad ascoltare.
Nessun commento:
Posta un commento